Abbraccio

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Ponte Alda Merini sul Naviglio Grande vicino alla casa di Ripa di Porta Ticinese in cui ha vissuto la poetessa milanese.
Foto di Deensel

La trentatreesima parola buona é Abbraccio.

Alda Merini diceva di preferire le persone che hanno la carne a contatto con la carne del mondo rispetto a chi predilige i contatti indiretti. La poetessa dei Navigli amava i contatti diretti perché, diceva, «lì c’é verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore».


Quando un giorno ripenseremo all’era Covid, torneranno alla mente le mascherine prima introvabili e poi disponibili, così come i vaccini prima introvabili e poi disponibili, ma soprattutto ricorderemo l’innaturale mancanza di abbracci, la sofferenza di aver perso per molto tempo il contatto diretto con gli altri e con il mondo.


La pandemia ha messo in evidenza che dentro di noi é scritta una genetica dell’abbraccio. Quando non lo troviamo, ci manca più del pane. L’abbraccio conferma che lui o lei ci desidera e non siamo solo noi ad essere interessati all’altro e al mondo; é la destinazione che ci viene incontro, é l’evidenza che c’é spazio per accoglierci e raccoglierci, che esiste un modo per avvicinarci senza scomparire. Un bacio, a pensarci, é più complesso: richiede un completo disarmo e non sempre e non con tutti si riesce a tollerare di dare e ricevere quel segno d’amore.

Nel contatto che accoglie e si lascia accogliere c’è verità, diceva la Merini. Un abbraccio ci conduce alla radice della nostra umanità, rivela la sinergia e la collaborazione di cui sono fatte le relazioni autentiche. Per questo ci mancano gli abbracci. Perché é lì che portiamo insieme ad un’altra o ad un altro la gioia e l’inquietudine, la consolazione e la sorpresa, la festa e la cura.


L’immagine che conservo nel cuore del bisogno insostituibile di abbracci nel tempo Covid é la scena di un papà con un neonato in braccio e altri due bimbi agli arrivi dell’aeroporto semivuoto di Linate. Ricordo l’entusiasmo incontenibile di un fratellino e di una sorellina che si contendevano le braccia della loro mamma appena sbarcata e ancora sovraccarica di borse da lavoro. La crisi ha ferito i rapporti, ma ha anche affinato la consapevolezza dell’inesauribile bisogno di vicinanza che ci spinge a ricercare il contatto.

All’uscita nelle sale del film sentimentale Love Actually nel 2003 qualche critico lo giudicò stucchevole. In realtà afferma una profonda verità la voce fuoricampo che dice: «Quando sono state colpite le Torri Gemelle, per quanto ne so, nessuna delle persone che stavano per morire ha telefonato per parlare di odio o di vendetta, erano tutti messaggi d’amore».

La nuova parola buona é Abbraccio

Se scambiamo un abbraccio o anche solo quando lo desideriamo, quel gesto ci rivela che siamo fatti di particelle di vita che si attraggono tra di loro per rincuorarci.



Testo in simboli CAA

[Versione in simboli a cura di Antonio Bianchi, Centro Sovrazonale di Comunicazione Aumentativa di Milano e Verdello, secondo il modello definito dal Centro Studi inbook]


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Sergio Astori

Chi sono

Sono papà di Giulia e Silvia e marito di Monica, immunologa clinica.
Mi appassiona conoscere ciò che ci anima come donne e uomini, e studio le situazioni di limite che possono offuscare la bellezza delle persone.
Sono cresciuto a Bergamo, poi sono diventato medico a Milano, poi mi sono specializzato a Pavia in psichiatria e psicoterapia, infine ho completato gli studi con un dottorato in Salute pubblica, scienze sanitarie e formative.
Esercito a Milano dove insegno alla Facoltà di Psicologia dell’Universita Cattolica.
Quello che credo in una frase?
In noi l’intelligenza coniugata con la coscienza è una scintilla di infinito che può fare la differenza.