Tenerezza

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Una forza invisibile e delicata riempie la vita di significato. Foto Raisa Milova

La settantacinquesima parola buona è TENEREZZA.

Alcune studentesse mi hanno domandato di incontrarle presso il Conservatorio universitario SS Concezione di Roma. Erano rimaste turbate da questo fatto di cronaca: a fine gennaio, una diciannovenne si è tolta la vita in un ateneo milanese, pare lasciando nella sua borsa uno scritto in cui riferiva di fallimenti personali e di studio. Gli studenti di quella Università erano rimasti sconcertati per la decisione di non fermare completamente l’attività didattica, senza lasciare il tempo alla comunità di riflettere sulle angosce che possono portare a compiere gesti simili.

Non ho idea se l’urlo silenzioso della giovane suicida abbia trovato o troverà mai un ascolto adeguato. Io, però, voglio lasciarmi interrogare dall’appello di molti altri giovani che ci dicono di essere letteralmente soffocati dalla moda dell’efficienza e dal mito della persona di successo.

Sul famoso palco del Festival dei fiori, a febbraio di quest’anno, è stata inscenata una competizione tra i conduttori su chi fosse in grado di apparire più appetibile sui social da parte di un vasto pubblico di seguaci. Domandiamoci se questi messaggi non risultino quantomeno stonati rispetto al drammatico richiamo dei più giovani a tornare a riconoscere il valore di una vicinanza relazionale senza troppe maschere. Giovani che si trovano quasi più in accordo con la buona musica di sempre, quella dedicata alla passione per le singole storie raccontare sullo sfondo dei sentimenti e delle ragioni che guidano interi gruppi e comunità.

Abbiamo tutti bisogno di prenderci delle pause, di fare silenzio, di riflettere sulle incoerenze. Senza i giusti spazi, si accentuano i toni duri e violenti che concorrono ad alimentare il dolore di chi sente sfuggirsi la vita dalle mani.

La nuova parola buona é Tenerezza.

Siamo abili a vivere pienamente quando, benché vulnerabili, ci sentiamo degni di aggiungere nuove possibilità.



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Sergio Astori

Chi sono

Sono papà di Giulia e Silvia e marito di Monica, immunologa clinica.
Mi appassiona conoscere ciò che ci anima come donne e uomini, e studio le situazioni di limite che possono offuscare la bellezza delle persone.
Sono cresciuto a Bergamo, poi sono diventato medico a Milano, poi mi sono specializzato a Pavia in psichiatria e psicoterapia, infine ho completato gli studi con un dottorato in Salute pubblica, scienze sanitarie e formative.
Esercito a Milano dove insegno alla Facoltà di Psicologia dell’Universita Cattolica.
Quello che credo in una frase?
In noi l’intelligenza coniugata con la coscienza è una scintilla di infinito che può fare la differenza.